Siamo nel mese missionario, e il gruppo Adulti CMT del nord Italia ha vissuto il suo incontro con un ospite speciale. Il fratello di una componente del gruppo è missionario in Ucraina, trovandosi in Italia per una visita in famiglia gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza.
Don Moreno Cattelan, orionino, da 21 anni si trova in Ucraina, di cui 18 a Leopoli e da 3 anni alla periferia di Kiev. Dopo una breve presentazione personale ha proseguito rispondendo ad alcune domande.
È stato molto interessante entrare nella realtà attraverso la sua testimonianza perché “Ci ha aiutato ad andare oltre i titoli di giornale, oltre gli spot a cui ormai siamo anche assuefatti e che spesso non dicono più nulla di quel che vive la popolazione.
Attraverso le sue parole, il suo sguardo, il suo cuore ci ha fatti entrare in punta dei piedi dentro la paura-terrore generata dal continuo allarme per i bombardamenti, situazione che colpisce soprattutto le aree più interessate dalla guerra, ma che in diversi momenti coinvolge anche gli altri territori.”
La popolazione tenta di proseguire la vita, le attività lavorative, ma è difficile, la guerra porta destabilizzazione, costringe a spostarsi, a vivere da sfollati, senza contare le ferite interiori che una guerra infierisce in particolare sui più piccoli e indifesi.
Ci ha presentato il dramma di bambini e ragazzi che non riescono a vivere serenamente e con continuità l’anno scolastico; il dramma di quanti restano orfani di uno o di entrambi i genitori; e della generazione giovanile decimata al fronte…
Don Moreno ci ha fatto intuire la difficile situazione anche a livello di Chiese presenti in Ucraina che al momento non riescono a dialogare, l’ha definita una grande sconfitta: “probabilmente se le diverse confessioni religiose fossero state unite fin dall’inizio nella ricerca della pace forse non saremmo a questo punto”. E come se non bastasse la guerra non ha fatto altro che acuire la ricerca degli interessi egoistici e la corruzione nei vari ambienti.
Ci ha raccontato del suo esporsi andando al fronte per portare direttamente gli aiuti ai soldati, dell’incontro con gli sfollati – essendo ormai lui stesso “sfollato”: le attività parrocchiali si svolgono in container, in locali di fortuna che sono sotto la continua minaccia dei bombardamenti.
Ha colpito come, pur in mezzo a tutto questo, riesce a scorgere l’esperienza di un Dio che non abbandona, che è Provvidenza. Ha raccontato del passaggio che sta avvenendo anche tra i cristiani: dal pregare per la vittoria al chiedere ora la pace; da un’impostazione di vita individualistica, tipica del periodo prima della guerra, all’esperienza di solidarietà che sta nascendo senza distinzione di credo, di nazionalità…

Alla domanda: “Quale futuro?” Ha risposto come, una volta terminata la guerra, non si tratterà solo e soprattutto di ricostruire edifici, strutture, di cui normalmente si parla, ma si tratterà, da ambo le parti, di ricostruire le persone, le relazioni, la vita delle giovani generazioni, di sanare odio e rancori conseguenza della violenza subita e vissuta; si tratterà di elaborare il lutto per tutte le perdite, e di ricostruire la pace “dentro”.
Così come sarà necessario avviare un profondo percorso di riconciliazione tra le Chiese, affinché la fine della guerra segni anche la strada per una pace vera e duratura.
Il tempo è volato in fretta, saremmo rimasti ad ascoltarlo ancora a lungo, ma in ogni caso la sua testimonianza ha lasciato un segno: le notizie che ora ci giungono tramite i media suonano meno “anonime”, si è rinnovato in ciascuno il desiderio-impegno di solidarietà e di pace e si è rinnovata la certezza che, anche tra le “macerie” esteriori ed interiori provocate dalla guerra, Dio non è assente.
Grazie don Moreno!













